AVVENTUROSO TRASFERIMENTO.

Un avventuroso trasferimento di una barca d’epoca in legno di 16 metri e due alberi: una Goletta.

Il mio amico Andrea mi propone di trasferire una barca da Bari a Marina di Ravenna e si offre come equipaggio. L’armatore, un professionista bresciano, ci informa dell’ubicazione del pontile, un po’ staccato dal porto turistico. Arriviamo a Bari col treno, localizziamo da lontano la solitaria barca ormeggiata all’unico pontile. Una muraglia alta due metri chiude l’accesso al pontile e ci dirigiamo verso la porta: un attimo di perplessità per un gruppetto di cani randagi che si aggira proprio tra noi e l’entrata.

Andrea mi segue mentre lentamente attraverso il gruppo, evitando di guardare i cani negli occhi. Saliamo ed entriamo nella barca: cerco di accendere il motore ausiliario diesel, ma le batterie non danno segno di vita.

Riesco a trovare un elettrauto, che munito di un booster fa partire il motore. Dobbiamo poi lasciare acceso il motore perché si ricaricano le batterie: grosso dilemma, quanto gasolio ci sarà nel serbatoio ? Impossibile accertarlo. Chiedo all’elettrauto come si possa fare il pieno, ma sconsiglia di entrare nel marina: nei giorni feriali , per dipiù fuori stagione, il distributore del porto è chiuso. Decido di partire per entrare nel porto di Trani, a circa 30 miglia, prima che faccia notte; conosco il porto, dove vi è un distributore di gasolio che funziona tutti i giorni.

Lascio alla dea fortuna il compito di assisterci fino al distributore, vista l’assenza di vento. E a Trani finalmente il serbatoio è pieno. Usciamo a cena in un ristorantino, facciamo qualche passo e assistiamo allo struscio serale. La prima volta che feci sosta a Trani, tipica cittadina del sud, il passeggio serale era uno spettacolo gradevole, i giovani e le ragazze camminavano intorno ad un grande piazzale, una lunga processione, dove gli uni ammiravano le altre, con reciproci sguardi: questo era lo struscio che mi rammenta la poesia Leopardiana “ Il sabato del villaggio”. Le successive tappe a Trani nei vari trasferimenti in Grecia, seduto sulla panchina mi accorsi che ogni dieci minuti la stessa macchina passava e così notai stupito che tutte le altre giravano continuamente: lo struscio era fatto in macchina ! E’ un “non senso”: effetti deleteri del diffondersi della motorizzazione. Torniamo a dormire nei nostri sacchi a pelo in barca. Il mattino puntiamo verso una tappa più a nord, se il vento sarà a favore ovviamente potremo navigare per 24 ore filate per avvicinarci alla meta. Dipenderà dal vento, spesso.

Invece dipese dal mal di mare del “marinaio“ Andrea. Giunti al promontorio del Gargano, ripara dal vento da nord-est ma le onde sono notevoli per il fondale basso, – il Gargano è una montagna che scende dolcemente sotto il livello del mare. Il mio compagno di viaggio è steso in pozzetto e non parla più. Continuo a timonare, vi è un bel tramonto, telefono a casa per descriverlo a mia moglie. Per fortuna il pilota automatico funziona e scendo al tavolo di carteggio per vedere com’è l’entrata del porto “Marina del Gargano”. Mi accuccio vicino al marinaio e gli chiedo se riuscirà a scendere dalla barca, dopo l’entrata nel porto, dove non ci sono onde, per darmi una mano all’ormeggio. Non risponde ma alza il pollice. Ok, risposta positiva, entro. Vi è un lungo pontile libero, fisso alle due bitte di prua e poppa le cime di ormeggio pronte da lanciare e accosto: lui salta sul pontile e trattiene la cima di poppa a mano, cercando di trattenere l’abbrivio delle tonnellate della barca di 16 (metri. Fortunatamente la barca è ben costruita e con la marcia indietro la freno e la riporto indietro senza deviazioni, come fosse un’automobile, salto a terra e corro fissare le cime alle bitte del pontile. E’ ormai notte e nessuno si avvicina. E’ buio e il cancelletto della recinzione di ferro era chiuso. Il mio amico Gianfranco riesce a far scattare la serratura con il coltello tascabile e prima di uscire mettiamo un pezzetto di legno per accostare il cancelletto senza far scattare la chiusura. Andiamo in cerca di un ristorante: a Rimini, fuori stagione, non esisteva alcun ristorante o albergo per una cena. Riuscimmo a trovare la mensa ferrovieri e ci accontentammo di una pessima zuppa di pesce scongelata. Torniamo al porto: il cancelletto era chiuso. Da fuori non era possibile entrare. Che facciamo? Dentro un’auto, ferma vicino alla recinzione, c’è una coppia abbracciata. Aspettiamo 15 minuti poi l’uomo esce dalla macchina e si dirige da noi, fermi al cancellino: gli raccontiamo il nostro problema che lui risolve subito “ Ho la mia barca qui e vi apro con la mia tessera magnetica”. Questa è la solidarietà fra marinai. Aspettammo nel porto di Rimini un intero giorno, perché fuori c’erano onde frangenti. Il mattino seguente, decido di andare verso l’uscita: sapevo che i bassi fondali provocano onde alte che entrano in porto, ma la mia esperienza mi permise di affrontare la difficoltà. Acceso e riscaldato il motore molliamo gli ormeggi e lentamente sfiliamo davanti alle due lunghe file – destra e sinistra – mentre i marinai sventolano la mano attraverso la faccia per dire che eravamo pazzi per uscire con quelle onde giallo/grigie per la sabbia del basso fondale.

Gianfranco grida per superare il rombo delle onde: “ Decidi, tra una decina di metri siamo al punto di non ritorno! “Ok urlo, attaccati bene”.!

Dò tutto gas vedendo un’onda che sta per giungere in entrata e la barca si arrampica sull’onda e scivola veloce contro la prossima, che già è fuori dal fondale basso e sabbioso. Il pericolo di battere la pinna contro il fondo e far traversare la barca con la sua rovinosa perdita e probabilmente il nostro annegamento, che è stato annullato dall’esperienza e soprattutto da un po’ di coraggio . I pescatori non sarebbero usciti con quelle onde, perché i loro pescherecci non possono fare queste velocissime accelerate con il loro enorme peso. Dopo due giorni giungiamo al cantiere di Marina di Ravenna attracchiamo nella notte guidati dalla voce del capocantiere con il VHF, la radio trasmittente e ricevente in dotazione a qualsiasi barca o nave. E’ stato il trasferimento di poche miglia, circa 6oo, (1000Km) il più lungo per i tempi morti. Tanti giorni, quanto una traversata atlantica.

GENTE CHE VIVE IN BARCA (vari personaggi)

Ci sono migliaia di persone che lo fanno e non sono tutti ricchi o in pensione. Negli anni in cui navigavo come skipper trasferendo le barche a vela, ho incontrato un arcobaleno di giramondo: ventenni e ottantenni, poveri e ricchi, coppie etero e gay, intere famiglie, con tanto di gatto o cane. La mia amica Nancy che vive in Australia ha cinque figli a bordo, tre dei quali sono nati in barca. Ormai non mi stupisco più quando incontro bambini e ragazzi che non sono mai andati a scuola ma hanno un bagaglio culturale da far invidia. Oltre alla mamma/maestra, questi giovani imparano dal mare, dagli animali, da persone che spesso non parlano la loro stessa lingua. Stando con loro mi stupisco sempre della loro maturità. Sono responsabili, autonomi e lavorano duro. Scalzi, abbronzati, sani e sorridenti. Sono anche molto intraprendenti, organizzano giochi e feste a riva, scrivono articoli per il giornalino locale, costruiscono una capanna e la battezzano “circolo nautico”. Due bambini che ho conosciuto si guadagnano la paghetta mensile vendendo conchiglie o sassi dipinti. Un giorno hanno guadagnato addirittura 73 dollari che hanno investito portando i genitori a cena fuori!

Altro esempio raccolto, da due pensionati.

Dal punto di vista finanziario è molto più facile sopravvivere in mare che a terra. Non ci sono bollette, tasse, bolli da pagare. Noi due per esempio viviamo con 800 euro al mese, mantenimento della barca incluso. Alcuni spendono molto di più, altri molto di meno. Chi è in pensione generalmente non ha problemi, i giovani invece devono essere intraprendenti. C’è chi vende o affitta il proprio appartamento, molti lavorano via internet, altri ancora di tanto in tanto lavorano in porto. Molti lavorano per sei mesi per poi viaggiare l’altra metà dell’anno. Non posso negare che l’instabilità finanziaria sia una componente di questo stile di vita. Ma è una scelta. Se vuoi la libertà, accetti l’instabilità.