Quinta ed ultima traversata oceanica
Partiamo da Las Palmas in tre persone, dopo 21 giorni di navigazione atlantica prendiamo terra ai Carabi in quattro. Sembra inverosimile? E’ accaduto. Una telefonata il giorno 6 Dicembre 2006: “Sono Marco, ho visto per caso il tuo sito internet: potresti entro due o tre giorni partire dalle Canarie per dare una mano a trasferire un catamarano ai Caraibi?” Ci penso, mi consulto con mia moglie, decido di cogliere al volo questa opportunità; chiuderò la mia carriera di lunghe navigazioni con una barca per me nuova: un catamarano da crociera.
Arrivo a Las Palmas, Gran Canaria, il giorno 9 Dicembre con un volo “last minute”. In taxi al puerto deportivo. E’ buio e fatico a localizzare un catamarano di nome “Azul”, quando lo trovo è chiuso, luci spente. Affiancato c’è un catamarano gemello, “Cochis”, illuminato. Col cellulare chiamo il numero dello skipper di “Azul”, ed è Marco che si affaccia in pozzetto col suo faccione allegro e la voce cordiale un, pò roca dalle sigarette, e l’accento milanese: “Sali Bruno, ti aiuto a portare il saccone a bordo, dopo cena ci sposteremo sul mio catamarano”.
Conosco anche lo skipper del Cochis ed il marinaio. Mi informano che i due catamarani viaggeranno in coppia per la traversata ai Caraibi. Due fratelli che arriveranno da Viterbo completeranno i due equipaggi. La cabina che Marco mi assegna è quanto di più lussuoso io abbia trovato su una imbarcazione a vela. Come tutti i catamarani da crociera attrezzati per il Charter vi sono: quattro cabine doppie, ciascuna con bagno privato, doccia con acqua calda a volontà (vi è un generatore diesel di corrente che fa funzionare il dissalatore). Persino un telefono satellitare. Dopo 2 giorni arrivano i due fratelli, Lamberto e Massimiliano. Il mare è brutto, vi sono 35 nodi e onde notevoli: abbiamo tutto il tempo per fare cambusa e il mare ci permette di partire il 12 Dicembre. Massimiliano sarà a bordo di Azul, suo fratello Lamberto si imbarcherà su Cochis. Dopo circa una settimana di navigazione in tandem, distanziati più o meno 4 o 5 miglia, lo skipper di Co- chis cambia idea, non vuole più arrivare alle Antille, decide di fare rotta sulle isole di Capoverde, pensando di trovare maggiori probabilità di lavoro. La verità probabilmente è il pentimento di avere abbandonato la sua attività lavorativa per fare lo skipper, un lavoro che non era a lui adatto. Lamberto non è d’accordo e vuole arrivare ai Caraibi col fratello, chiede quindi a Marco di prenderlo a bordo. Non avevo mai visto un trasbordo di persona da una barca ad un’altra in pieno oceano: i due catamarani, in un giorno di calma di vento (l’onda lunga però fa ballare) si fermano ad una distanza di quaranta metri. Un gommone, senza motore, legato con una cima, viene calato in mare: Lamberto si avvicina a remi. Il moto ondoso oceanico rende vivace e decisamente impegnativo il trasbordo di Lamberto e merci varie; il gommoncino è recuperato con la cima da Cocis.
E’ strano vedere una barca che cambia direzione per fare rotta su Capoverde, distante centosessanta miglia, circa ventiquattro ore di navigazione. Ci salutiamo con un certo rimpianto.
Massimiliano ha pescato alla traina Un Marlin, il pesce spada, verrà mangiato crudo condito con limone e olio
I giorni e le notti di navigazione si susseguono con tanti tramonti a prua e ovviamente albe a poppa, dato che andiamo verso ovest. Ogni cinque giorni circa spostiamo indietro l’orologio di un’ora, così giungeremo ai Caraibi con l’ora locale. Ora siamo in quattro: più leggeri i turni di notte. Passatempo migliore, oltre ai turni di cucina e di guardia, è la pesca al traino e scopro che Massimiliano ne è un vero e proprio professionista. Due canne da pesca poste alla distanza di circa sette metri, cioè la larghezza del catamarano, ci fanno pescare una media di due tonnetti (o dorado) al giorno, sempre alla velocità di sette od otto nodi. I primi giorni mangiavamo pesce crudo o cucinato in molti modi, ma poi, stanchi del monotono, si mangiano pastasciutte e frutta. Si pesca per diletto e si ributta in mare la preda che continuerà a vivere.
Notevole l’emozione nel tirare a bordo due Marlin, uno lungo due metri, dalla punta della spada alle pinne di coda. In questa occasione, ho scoperto come uccidere il pesce issato a bordo senza farlo soffrire troppo, evitando spruzzi di sangue addosso: un goccio di rum o altro alcolico buttato nelle branchie o in bocca, non appena abbiamo la testa della preda a portata di mano; la fa morire all’istante.
Si guasta il pilota automatico cinque giorni prima dell’arrivo, ed i turni al timone ora, sono ben più impegnativi. Si guasta anche il generatore di corrente: si economizza l’acqua come sulle normali barche. Marco pensa che metterà una pompa a pedale per lavare i piatti con l’acqua di mare: per ora laviamo piatti e pentole a turno seduti sui gradini di poppa coi pie di in mare, sempre alla velocità media di sette nodi.
La voglia di un bagno di mare coglie tutti: buttiamo una cima in acqua con un paio di gasse e ci caliamo in mare a turno: un idromassaggio a sette nodi è così piacevole che non vogliamo pensare che potremmo diventare l’esca per uno squalo. La meta è Tobago Cais, sicuramente il più bell’anco raggio dei Carabi, dove buttiamo l’ancora il 2 Gennaio 2007: file di catamarani sono ancorati fra questi isolotti di sabbia bianchissima ed i colori del mare attraggono irresistibilmente. L’ultima volta che gettai l’ancora a Tobago Cais c’erano solo poche barche tradizionali. Ora sostano dozzine di catamarani. Stazionano tutto l’anno alla Martinica; sono di proprietà di compagnie finanziarie e sono noleggiati da agenzie nautiche, i loro skipper arrivano alla Martinica in aereo, passano qualche settimana fra le isole e poi rincasano in aereo. Uno di loro ha l’equipaggio vacanziero composto solo da donne, sei, tutte giovani e carine. Noi facciamo due settimane di navigazione con soste lunghe risalendo controvento da Union alla Martinica.
Prima di partire, una cena di addio con l’equipaggio: sarà per me un lieto ricordo l’allegria di Marco, la prorompente vitalità di Massimiliano, la saggezza, la generosità e le capacità veliche di Lamberto. Quest’ultimo, rimasto ai Carabi, mi ha inviato recentemente una e-mail: si è imbarcato su un Halberg-Rassey 51 con equipaggio di italiani diretto a Panama. L’ho incoraggiato a proseguire nel Pacifico.
Questa è stata la mia ultima traversata Atlantica, per ragioni anagrafi. Durante la navigazione, oltre a festeggiare il Natale con panettone, abbiamo festeggiato il mio 75° compleanno con spumante e il capodanno 2007 con polenta e cotechino, come da vecchia tradizione lombarda.