Dopo aver navigato dalle Canarie alla Polinesia Francese, per consegnare una barca a vela, dovevo tornare in Italia in aereo e le tappe obbligate per i vari voli erano: Papete-Los Angeles- Parigi-Milano-Brescia. Colsi la possibilità di scendere nel fiume Colorado, dato che molti anni prima lo vidi dall’alto del Canyon. Siccome ero in un gruppo organizzato, non potei vivere quell’avventura. Rimase il desiderio in un cassetto della mente dopo più di trent’anni decisi di provare a scendere nel fiume Colorado e sbarcai nell’aeroporto di Los Angeles dove trovai, tramite un’agenzia, un autobus che in 7 ore mi portò nella zona degli alberghi nei pressi del Canyon del fiume Colorado: feci in tempo a visitare uno dei negozi aperti per vendere l’attrezzatura adatta a camminare sulle rocce per scendere al fiume. Trovai un paio di scarponi usati della mia misura, il sacco a pelo, che sempre si usa in barca con la cerata, lo avevo nello zaino e acquistai le calze di lana necessarie per camminare con gli scarponi, una pila, cibi concentrati, bottiglie di plastica da riempire d’acqua la mattina,  prima della discesa. Prassi non molto diversa dalle esperienze fatte nelle nostre Alpi, in Africa, o nei vari trekking nelle montagne Himalayane.Fu decisamente dura la discesa fino al fiume, perché non ero più allenato alla montagna, divertente il lungo tratto di rafting sul gommone, massacrante e piena di adrenalina la risalita a dorso di mulo sul sentierino a strapiombo: cinque ore che mi resero doloranti per giorni i muscoli delle cosce e dei glutei. Furono in tutto 6 giorni pieni, compreso il ritorno a Los Angeles per riprendere le tratte varie: Parigi- Milano e poi il treno che mi porta a casa.Fu il più breve di tutti gli altri viaggi avventurosi, ma è uno degli indimenticabili.

Iniziai a imparare il Karate a 39 anni. Dopo 3 anni di apprendimento intenso sono riuscito a guadagnarmi la  Cintura nera primo Dan. Riporto questo fatto per incoraggiare i giovani a studiare tecniche di difesa personale.  Si può e si deve imparare le tecniche di difesa personale, come il Karate o altre tecniche di combattimento.

Tardo pomeriggio di martedì, parco della Martesana, all’altezza di Vimodrone, Nord di Milano. Il ragazzino cammina da solo, ha 17 anni; due rapinatori, all’apparenza nordafricani, lo attaccano per strappargli il cellulare. Preso alla sprovvista, incassa qualche colpo. In pochi secondi, però, si rialza. Si mette in guardia, e dentro quella posizione, raggiunta in un momento di pericolo, sta concentra e tutta la storia di questo giovane uomo: la disciplina di uno sport da combattimento, gli anni d’allenamento nella palestra di “muai thai”, il coraggio della reazione, il controllo emotivo, l’orgoglio e, più di tutto, il suo passato. Questo ragazzo dal temperamento tranquillo e l’intelligenza profonda, quand’era un bambino, alle elementari, è stato per anni vittima dei bulli della sua classe e dell’indifferenza della sua scuola, di professori che non seppero aiutarlo. Fare boxe thailandese, in seguito è servito per rafforzare muscoli e carattere; lo scelse insieme alla famiglia. Sugli aspetti più personali, nella denuncia fatta ai carabinieri della stazione di Vimodrone, non s’è dilungato: mi hanno aggredito alle spalle, mi sono girato, ho preso un pugno, anche qualche calcio, e sono caduto a terra. In quel momento mi sono detto: “Devi rialzarti subito”. Ce l’ho fatta. E mi sono messo in guardia ma certo avrà pensato alla sua storia mentre guardava i due rapinatori scappar via dal parco, perché lui aveva reagito, aveva picchiato, li aveva colpiti e spaventati.  In telefonino, alla fine, l’aveva ancora in tasca.