Una telefonata dal Venezuela: un signore ha appena acquistato un barca a vela, un Ovni 45, un’occasione. Sono contento di poter provare la barca d’alluminio del cantiere francese Alubat. Il programma: dal Venezuela la traversata fino a Grenada, poi le Grenadine, Bequia, S. Vincent, S. Lucia, La Martinica ed eventualmente giungere alle Isole Vergini. Le piccole Antille, le isole che gli americani chiamano “banana republics”, sono considerate il paradiso dei velisti. Sole e vento. Ma quel mese di Dicembre ‘98 l’Aliseo è stato particolarmente forte e non è stata paradisiaca la traversata da Puerto de La Cruz, Venezuela, alla Martinica, posta al centro della splendida collana delle Isole sopravvento. Vento di prua che costringe ad una bolina strettissima con onda ripida. L’equipaggio è formato da me e dall’armatore, velista alla sua prima esperienza. Piovaschi violenti e vento intorno ai venticinque trenta nodi. Sempre di prua. Lunga tappa a Grenada,l’Isola delle spezie. Qui sbarcarono i marines americani dopo che questa venne occupata dai “consiglieri militari” cubani. Nella città vi è un piccolo museo con cimeli di quella battaglia.

Qualche nuvola all’ aurora abbellisce il mare.

Dopo una sosta di una settimana arranchiamo a motore, sempre con vento e onda contro, verso le altre Grenadine. Lunga tappa a Bequia, poi S. Vincent, S. Lucia, indi Martinica. Certo, durante le lunghe soste nelle isole, anche se il caldo è eccessivo, vale la pena riposarsi in certe baie: sono di una bellezza mozzafiato. L’armatore, stanco del controvento, decide di interrompere il programma e tornare in Venezuela, sognando di avere finalmente onda e vento al lasco al ritorno. Ed allora l’Aliseo, maledetto, smette di soffi are, va in bonaccia. Soffi a a solo 5-6 nodi. Pochi quando si deve navigare in poppa o al lasco. Procediamo a motore, perché l’armatore, velista principiante, non vuol saperne dello spinnaker, la grande vela colorata che fa camminare la barca anche con poco vento in poppa. Così proseguiamo a motore fino a Grenada. Altra lunga tappa di una settimana in attesa dell’Aliseo, che alla fine sembra riprendere fiato: salpiamo e finalmente il motore riposa assieme ai nostri timpani. La rotta per il Venezuela passa nei pressi di un gruppo d’isolette: Islas Los Testigos (i Testimoni), abitate solo da pescatori. E’ notte e secondo il portolano il faro non è sempre funzionante. Traccio la rotta passante a cinque miglia ad est del piccolo arcipelago. Scorgiamo il faro circa dieci miglia avanti, un po’ alla mia destra. Bene, il faro funziona e ci indica che passiamo ad est delle isole, come da rotta iniziale. Dopo un’ora vedo il faro più vicino, ma esattamente a prua. Il pilota automatico non può avere deviato; la rotta bussola è sempre 180. Orzo 10 gradi 83a est ed il faro lo rivedo nuovamente a destra, ma non sono tranquillo; sicuramente esiste nella zona delle Testigos una corrente molto forte che il portolano accennava correre verso sud, invece è verso ovest e tenta di portarci contro le isolette. Orzo di altri 25° verso est,dal gran lasco passiamo ad un’andatura di bolina larga traverso. La barca acquista velocità e si allontana da quel pericolo. Finalmente mi sento al sicuro perché il faro è sorpassato. Correggo sulla carta la rotta e procediamo verso Trinidad, uno Stato Caraibico, un‘isola di un milione e mezzo di abitanti, un poco fuori rotta, ma che vale la pena visitare. Dopo una mezz’ ora vedo a prua, a poche miglia, un fila di piccole luci lampeggianti: sicuramente una rete da pesca lunga almeno 5 miglia, che attraversa la nostra rotta. Qualche imprecazione mi scappa, ma d’ altronde i pescatori lavorano con le reti; e meno male che le segnalano con le luci! Nuovo cambio di rotta per aggirare la lunga linea di luci che sembrano non finire mai. Navighiamo a vela un’altra oretta fuori rotta e finalmente sorpassiamo la catena di luci stroboscopi che. Riprendo di nuovo la rotta, corretta naturalmente dopo aver avuto dal GPS il nuovo punto nave. Ma le sorprese non sono ancora finite: c’è sempre buio e la barca, con le vele gonfi e, rallenta di colpo: quasi una mano del dio Nettuno spingesse delicatamente la prua indietro fino a che la barca si blocca, mentre le vele continuano a spingere nel silenzio che diventa ora impressionante. Per un secondo penso ai mostri marini, come i navigatori dei secoli scorsi pieni di paure per leggende che venivano tramandate fra i membri degli equipaggi analfabeti; o forse la stanchezza si fa sentire, ma poi la mente mi dice che siamo incappati in un’altra rete, questa volta non segnalata. Impreco contro i pescatori. E’ buio pesto: come uscire dalla rete? Accendere il motore e forzare significa quasi sicuramente avvolgere la rete attorno all’elica e di conseguenza bloccare il motore. Scendere sotto al buio armato di coltello per liberare l’elica non è un’idea entusiasmante. Per un attimo mi sento un tonno. Poi mi sovviene che quella barca ha la deriva mobile e si può alzare anche la pala del timone. Agire sui comandi idraulici è questione di due minuti: la barca spinta dalle vele lentamente comincia a muoversi, poi sembra addirittura che faccia un piccolo balzo, uno strappo e subito riprende la sua corsa veloce verso il Trinidad. Sono felice, anche se sento dalla radio, il VHF di bordo, urlare parolacce in spagnolo: è il pescatore che probabilmente è a poche miglia, presso il capo della lunghissima rete, (sicuramente non aveva luci nemmeno sulla sua barchetta) e si è accorto che la rete è stata danneggiata.E’ comprensibile che molti si stanchino di rifare il tragitto Venezuela-Caraibi due volte all’anno per mettere la barca al sicuro degli uragani del periodo estivo. Lasciare la barca in estate ai Caraibi è decisamente rischioso, anche gli hurrican’s holes, cioè i porti dove statisticamente non dovrebbero mai passare gli uragani, negli anni recenti si sono dimostrati disastrosi. Generalmente le barche che attraversano l’Atlantico arrivano alla Martinica, posta a metà circa della corona delle Piccole Antille che si sgrana da nord a sud. L’isola è la più gettonata perché i voli per tornare in Europa via Parigi sono economici e abbastanza frequenti. Inoltre è ben fornita di specialisti di attrezzature per barche. Gli equipaggi, dopo la traversata, prendono il volo per Parigi da quest’isola, territorio Francese. Chi resta a bordo, veleggia trascorrendo l’inverno al caldo per poi scegliere se tornare in Mediterraneo affrontando la più aspra rotta Atlantica di ritorno via Azzorre e Gibilterra, oppure portarla in Venezuela, ogni anno al sicuro per ritornarci l’inverno successivo e trasferirsi alle Antille a veleggiare. Bisogna poi mettere in conto i disagi dei viaggi aerei dall’Europa Via Caracas, dove spesso non trovi coincidenza con il volo interno per la costa e devi dormire in alberghi a dire poco orripilanti: ecco perché, dopo qualche anno, molti mettono in vendita la barca. “Visibile in Venezuela” si legge spesso sulle inserzioni sulle riviste di nautica. Esiste recentemente un’altra soluzione per evitare la traversata di ritorno in Mediterraneo: una nave appositamente attrezzata per trasferire barche dai Caraibi al Mediterraneo. Senza bisogno di disalberare. Ovviamente costa una grossa somma. Qualcuno, i più fortunati e avventurosi con un paio d’anni a disposizione, sceglie di passare il canale di Panama e farsi il giro del mondo spinto dai “Trade Winds”, i venti commerciali che permettevano alle navi della marineria velica di fare il giro del mondo con venti portanti. È un giro sempre nella fascia tropicale ed equatoriale; a sud dell’equatore ti permette di visitare le Galapagos, la Polinesia francese, la miriade di altre isole del Pacifico fino all’Australia del nord, risalire poi in Indonesia, riattraversare l’Equatore e visitare lo SryLanka, fermarsi alle Maldive, alle Seicelle. Si rientra in Mediterraneo dal mar Rosso e dal canale di Suez. Uno dei pezzi più duri di tutto il giro del mondo con venti portanti, può essere la traversata del mar dei Caraibi, praticamente il tratto Piccole Antille – Canale di Panama, oltre 1100 miglia (2000 Km) di mare con onda ripida e trafficato da grosse navi da carico (Cargo) che si dirigono a Panama o ne provengono. I mesi invernali sono esenti dagli uragani, sono però il periodo di massima intensità degli alisei e le condizioni di mare possono diventare difficili per le piccole barche. Meglio attraversare tra Aprile e Maggio, quando l’aliseo diminuisce e non è ancora stagione degli uragani. Importante tracciare la rotta passando a cento miglia dalla costa della Columbia: una piccola barca a vela con equipaggio ridotto è estremamente vulnerabile per la pirateria, generalmente legata ai traffici di droga. Lo stesso problema si ripresenta in altri mari (Filippine, Mar Giallo, Coste Somale, Mar Rosso) ma generalmente le barche cercano di unirsi in un gruppo per dividersi la spesa di un elicottero della polizia per i tratti pericolosi. In conclusione: è vero che molti giri del mondo sono nati dal timore della traversata atlantica Ovest-Est, ma è anche vero che, pur essendo obbligati a seguire una rotta decisamente meno calda perché più a nord, è entusiasmante anche riattraversare l’Atlantico, pur con la cerata addosso: è sempre una bella avventura e la tappa alle isole Azzorre è decisamente apprezzabile.