Non solo i ricordi sono i compagni del mio navigare; riflessioni fatte a bassa voce rendono più chiari i miei pensieri: ciascuno di noi cerca di spendere i propri giorni come meglio può. Io spesso mi son chiesto se le mie scelte di vita “da pensionato” siano state giuste; era forse meglio continuare a lavorare nel commercio fino ala fine dei miei giorni ?

Forse, se l’accumulare denaro fosse stato fonte di piacere, come lo è per molti, era sicuramente meglio.

Ma qualora nascesse una religione che permette di portarsi la carta di credito nell’aldilà, mi rimetterei subito al lavoro magari vendendo le carte di credito che non possono che essere definite “spirituali”, e potrei venderle chiamandole “ indulgenze”.

Non sarebbe male per lavorare on line e possibilmente tenere conferenze vestito in modo appropriato con abiti di tessuti luccicanti e un copricapo importante: sarebbe un rispettabile lavoro con notevoli guadagni.

Ma temo che qualcuno questo commercio lo stia già facendo da molti secoli, ben prima di me.

Da un porto all’altro

Quanti episodi, di per se banali, rimangono impressi nella memoria; non è comodo vivere in barca, lo spazio è angusto. La casa in cui si vive si muove di continuo, ora dolcemente, ora a scossoni: va su e giù, sbanda da una parte e da un’altra. E’ facile perdere l’equilibrio, si può scivolare e farsi male, bisognerebbe sempre tenere ben saldo un appiglio, una maniglia : bisogna imparare l’arte di stare appesi, come le scimmie sui rami ( una mano per te e un’altra per il re, secondo il detto della flotta inglese ). L’uso del gabinetto con mare mosso, se si è indossata la cerata sugli abiti di lana per proteggersi dagli spruzzi della pioggia, è un’impresa, anche perché il gabinetto è per lo più angusto, e il vaso si vuota con la pompa a mano. E come si fa a cucinare gli spaghetti, far bollire l’acqua, poi scolarla, col grave pericolo di sc0ttature? Si, è bello ricordare ogni burrasca che ho attraversato, compresa quella che mi beccai in Mediterraneo, da Palermo a Cagliari. Si può fare, ma richiede doti acrobatiche, fermezza, prudenza, allenamento. La vita a bordo è incredibilmente scomoda. Perché dimenticavo di parlarne, dunque la domanda è forse più pertinente, si decide di affrontare tante scomodità, se poi ti capita un qualsiasi incidente sono cavoli amari, visto che si potrebbe farne a meno ? Rispondo: perché la scomodità fa parte del gioco. Un marinaio afferma che è lo stesso per chi si arrampica sulla vetta in montagna, quando vi sono le funivie.

Veramente, quando non avevo ancora scoperto il mare, mi arrampicavo su rocce e verticali pareti rocciose, dove non sarà mai possibile installare funivie.

Quando mi beccai di notte un forza 8, nemmeno un attimo pensai di scendere sottocoperta, nemmeno per andare in bagno: ero solo e rimasi tutta notte al timone, con le mani ghiacciate senza mai poterlo lasciare. Dopo ore di combattimento con le onde, il mare si calmò solo un poco, io mi rilassai sentendo subito un rivolo tiepido scorrere sulla mia gamba.

Un’affermazione che spesso si sente ripetere nelle scuole di vela serie, è che una persona caduta in mare è da considerarsi perduta. Molto drastica ma drammaticamente vera.

Certo sono tantissimi i casi di persone cadute in mare e recuperate. Nella maggior parte dei casi in condizioni ottimali: di giorno, in estate, con mare calmo.

Ma non sono queste le condizioni in cui di solito accade l’incidente. L’emergenza si innesca spesso in condizioni dure, quando i movimenti in coperta sono più difficoltosi a causa del mare o più incerti, di notte, a causa dell’oscurità. Spesso le due cose insieme.

Cadere in mare in queste condizioni rappresenta un incidente grave perché le possibilità di recupero sono minime.

Quindi la prima affermazione è di una banalità disarmante: in mare non ci si deve finire. Una banalità che si sconfigge con i comportamenti corretti. Di notte, o in condizioni di mare molto mosso, chi è in pozzetto o in manovra deve essere legato alla life line e deve indossare il giubbino salvagente possibilmente autogonfiabile.

Ma, se ugualmente si perde una persona in mare, occorre sapere cosa fare.

“Uomo a mare…rilevamento e distanza… salvagente in acqua… mi allontano 60 metri…poggio… abbatto…” Va bene (purtroppo) per superare l’esame per la patente nautica. Questo è quello che ci chiedono di saper fare.

Nella realtà tutto questo non ha senso. L’obiettivo vero è quello di non perdere contatto con il naufrago, di allontanarsi il meno possibile, e toglierlo dall’acqua nel più breve tempo possibile.

Negli anni sono state sperimentate diverse manovre valide (esclusa quella richiesta per conseguire la patente nautica in Italia). Fra queste, ma non è naturalmente un dogma, la cosiddetta Quick Stop, pare essere una delle più efficaci al punto da essere fortemente caldeggiata dall’ISAF. Cioè buttare sempre e subito un salvagente galleggiante sperando che l’uomo in mare lo afferri e si metta con la schiena al vento, per ritardare il raffreddamento del corpo mentre dalla barca si cerca di tornare a recuperarlo.

Una dura verità anche per chi crede che andar per mare in barca non sarà mai in pericolo, perché oggi tutte hanno il GPS ( Global Position System) ( l’ignoranza è grande anche fra persone che credono di sapere tutto lo scibile umano.