Pubblicato sul mensile di mare Bolina

Doveva essere grosso, anzi gigantesco, perché la notte sentivo i
suoi passi sul legno del pagliolato. Non è piacevole addormentarsi
pensando di posare nella notte inavvertitamente un piede sul
pavimento e sentire il morso di una pantegana. Perciò ho ceduto al
ricatto del marinaio dominicano: lui si fa prestare da un amico una
grossa trappola e io gli concedo due giorni di ferie.
Sacrifi col’ultimo pezzetto del formaggio di grana portatomi dall’Italia e
spero di catturare il clandestino, probabilmente salito a bordo
quando sono andato a fare acqua dolce nel porto de La Romana, circa
10 miglia dalla rada dove passo la notte nella barca di 14 metri
all’ancora. Ma il topo non abbocca. Pernotto nella rada da un mese,
in attesa del mattino, quando dal villaggio turistico mi portano una
dozzina di persone da imbarcare sul vecchio Ketch di 14 metri. Li
porto a visitare l’isola di Saona, disabitata e lussureggiante di
vegetazione tropicale. L’attrattiva maggiore non è la spiaggia
della Saona ma i due alberi di un ketch che spuntano dall’acqua:
una barca naufragata sul rif due anni prima. I due francesi che
sbarcarono sull’isoletta si attardarono troppo, cambiò il vento,
che girò verso terra, l’ancora arò e la barca fi nì sulla madrepora.

È bello con maschera e pinne visitare il relitto. Ma io sono sceso a terra,
lasciando la barca di cui ero responsabile all’ancora, solo una
volta, per fotografarla da terra. Mi sento un taxista, anzi un
tranviere, perché da un mese percorro sempre la stessa rotta
quotidiana: 16 miglia per 110 gradi, ancoraggio e sbarco dei
passeggeri da parte del marinaio che li porta a terra. Finita
la visita alla spiaggia dell’isola, spaghettata alla carbonara in
barca, preparata dal sottoscritto, poi ritorno per 290 gradi. Unico
divertimento: il vento, sempre sostenuto. C è quasi ogni giorno ed è
sempre al traverso, sia all’andata che al ritorno.
La notte la barca mette la prua al vento, che viene da terra, mentre l’onda
oceanica arriva al traverso, svegliandomi con rollate. L’armatore
non aveva dotato la barca di una seconda ancora, per fermare la barca
con la prua verso il largo, da dove arrivano le onde. Spesso sono
svegliato da uno dei soliti pescatori che mi chiedono un poco di
miscela dal serbatoio del tender. Ormai la barca che gestisco è
diventata una specie di self-service notturno per i pescatori della
zona. Chiedo lumi a loro, la notte seguente: cosa devo usare per atti
rare un topo in trappola ? “Senor, i topi di Santo Domingo non sono
abituati al formaggio: necessità una banana!” Pongo una banana
nella trappola e la notte stessa vengo svegliato da uno scatto
metallico seguito da un acuto, potente squittio disperato, tipo il
grido del maiale quando viene portato al macello: finalmente l’ho
beccato.